lunedì 28 dicembre 2009

Les Lazareff, un livre de Sophie Delassein

La grande qualité du livre de Sophie Delassein est de montrer ces deux icônes du journalisme grandeur nature.

Débarrassés de leurs habits de mythe, Pierre et Hélène deviennent juste un homme et une femme, sans le chabada-bada : lui, costume flottant, jambes courtes, grosses lunettes, « un grand petit homme », résumait Pierre Daninos ; elle, minuscule, irrésistible et insupportable, « un oiseau d’acier », disait Françoise Giroud.

Ambitions, passions, fréquentations…
Ces deux-là sont entrés vivants dans la légende.

En 1935, une jeune et jolie reporter diplômée d’ethnologie entre dans le bureau du patron de « Paris-Soir » pour ne plus jamais ressortir de sa vie.
Quatre ans plus tard, ils se marient, robe Schiaparelli pour elle et invités de choc, Kessel, Cocteau, Colette et le gratin du journalisme.
L’exil à New York pendant la guerre plonge Pierre dans la dépression – trop d’énergie inemployée – et donne des ailes, et bientôt un ELLE… à Hélène, qui travaille pour les rédactions américaines les plus prestigieuses.
Elle observe, apprend, absorbe tout ce qu’elle voit, une gestation qui donnera naissance au journal ELLE le 21 novembre 1945, à Paris :
« Le sérieux dans la frivolité, l’ironie dans le grave », tout l’ADN du journal est déjà là.

Si, dans le travail, ils sont unis par la même volonté d’entreprendre, dans la vie privée, c’est une autre histoire, ou plutôt plein d’histoires…
Même si elle dira toujours que Pierre est le grand amour de sa vie, Hélène est une femme à hommes.
Meurtri, Pierre multiplie les conquêtes. Femmes, amants, maîtresses se mélangent, le dimanche, dans leur maison de Louveciennes, au milieu du Tout-People d’alors, de Bardot à Sagan en passant par Pompidou.
Dommage que le livre manque un peu d’allant, Sophie Delassein s’égarant parfois dans trop de portraits inutiles, trop d’événements historiques, lâchant la bride à son récit.
Qu’importe, forte de nombreux témoignages, elle sait en revanche très finement éclairer deux êtres complexes aux intuitions de génie et aux petites bassesses de tout le monde… Humains, très humains, donc passionnants.
«ELLE comme Hélène ont une allure d’avance sur les Françaises.
En même temps qu’il accompagne leurs combats, ELLE fait la part belle à la mode.
Pour la couverture, Hélène veut des photos couleur à une époque où l’on ne trouve guère que des croquis.
Elle file aux Etats-Unis où elle fait photographier des modèles américaines coiffées et habillées à la française. De quoi tenir six mois ! Hélène triomphe, même Mme de Gaulle lit ELLE ! Pendant ce temps-là, Pierre prend le pouvoir à « France-Soir » dont il fait le premier quotidien français.
Les Dimanches de Louveciennes-chez Hélène et Pierre Lazareff de Sophie Delassein.
Grasset, 338 pages

venerdì 25 dicembre 2009

a Parigi una retrospettiva per celebrare Yves St Laurent !


Yves Saint Laurent è stato una pietra miliare nella storia dell’alta moda francese.

Ha segnato l’Haute Couture indelebilmente, con il suo smoking da donna, il tailleur per la ‘femme d’affaires’.
Ha creato scandalo con i suoi profumi dal nome provocatorio ‘Opium’ e posando nudo per ‘Homme’.

È stato maestro di stile sin dal suo ingresso nel mondo della moda nel 1957, quando entrò a soli 21 anni nella maison Dior, e di li a poco creò la sua prima indimenticabile collezione: Trapezio.
Il grande maestro, scomparso all’età di 71 anni nella sua casa parigina nel giugno 2008, rivivrà in una grande retrospettiva a lui dedicata.

Il Petit Palais – Museo delle Belle Arti di Parigi ospiterà, dall’11 febbraio al 20 agosto 2010, oltre 300 modelli, disegni, oggetti, fotografie del grande stilista. Per omaggiare ancora una volta l’enfant prodige della moda francese.

La stanza del cioccolato per passare una domenica di lusso e di golosità !







Il brunch della domenica al lussuoso hotel di Milano, nella Stanza del Cioccolato all'hotel Four Season
Il brunch del Four Season – il celebre hotel di lusso della zona Montenapoleone, a Milano – si è da poco avvalso di un nuovo spazio dessert: la Stanza del Cioccolato.


Il brunch in questione è considerato da personaggi come Valerio M. Visentin, critico enogastronomico del Corriere della Sera, il migliore e il più caro della città...Circa 70€ !
La Stanza del Cioccolato è senza dubbio un vero gioiello per i sensi!
Ogni domenica, la stanza annessa al ristorante si trasforma in una giungla di cioccolato, con pareti decorate con diverse sfumature, intrichi tridimensionali di fogliame e animali tropicali, uno stordimento di forme e profumi, tutto realizzato in cioccolato.

In questo spazio profumato, si offrono ai nostri sensi torte, dolcetti, tavolette, creme, biscotti e mousse.
Sono disponibili circa venti proposte di cioccolato, tutte realizzate dai pasticceri dell’hotel. Consigliabili: una scaglia di cioccolato al fior di sale, un’altra al cioccolato fondente 90 per cento, un bicchierino di mousse al cioccolato e rum, un mini bonet, un assaggio di Sacher.
Il Four Season di Milano é un lussuoso albergo situato nel cuore della città.
L’esclusiva Via del Gesù si trova, infatti, tra le principali strade dell’alta moda milanese, Via Montenapoleone e Via della Spiga.

Varcato l’ingresso dell’albergo si scopre una splendida corte, con chiostro e giardino interno, testimonianza dell’antico convento del XV secolo che sorgeva in questo luogo.

Affreschi rinascimentali e preziose decorazioni sono presenti nella lobby e in una suite.
Il Four Season è una raffinata sintesi tra design contemporaneo e tradizionale eleganza italiana.
Camere e suite accoglienti e funzionali, da apprezzare nei dettagli.
Pavimenti in parquet, set di cortesia Acqua di Parma, lampade in vetro di Murano, oltre a standard tecnologici all’avanguardia.
Oltre la metà delle camere gode di vista sulla corte interna.Gli ospiti dell’Hotel Four Seasons potranno gustare, in qualsiasi ora del giorno, i deliziosi piatti del Ristorante “La Veranda”. Apprezzato per la sua superba cucina mediterranea, il Ristorante “Il Teatro” è considerato uno dei migliori ristoranti di Milano.

Il luogo dove lasciarsi tentare dalle creazioni del talentuoso chef Sergio Mei. “Il Foyer” è invece il lounge bar dove gli ospiti amano intrattenersi in un’atmosfera di assoluto relax, stuzzichini, antipasti, aperitivi e dessert.
Il Foyer, situato nella lobby, in origine era la chiesa dell’antico convento.

Gli spazi sono decorati con una collezione di schizzi dell’artista Filippo Peroni, eseguiti per il Teatro La Scala.
Presso i ristoranti del Four Seasons vengono serviti anche menu per bambini e altri servizi per i piccoli ospiti dell’albergo.Trattamenti di bellezza e massaggi vengono offerti direttamente in camera.
L’hotel Four Seasons offre infatti massaggi, manicure, pedicure.
Al pian terreno c’è anche l’attrezzata palestra con area fitness.

Mentre per gli ospiti più esigenti nelle vicinanze dell’albergo si trovano il Caroli Health Club e la Spa GF Ferrè. (http://www.historytraveller.com/)

domenica 20 dicembre 2009

Un espion chez Boucheron


Deux cents livres de commandes remisés au placard, 150 lettres de clients dissimulées dans un coffre, des carnets de notes en pagaille, oubliés dans une armoire…

Quand, il y a deux ans, Vincent Meylan met la main dessus, il sent la bonne aubaine.

Jusqu’alors nul ne s’était réellement penché sur les archives de la maison Boucheron, dispersées ici et là.

Son flair de journaliste – en plus d’être un expert ès joailleries, il est responsable des pages histoire et royauté au magazine « Point de vue » – ne l’a donc pas trahi : il tient là un petit scoop. Jusqu’à ce que le destin lui rende son intérêt d’enquêteur au centuple avec la découverte d’un recueil inouï, le « Livre de pierres », un document fabuleux « qui recense toutes les pierres importantes ayant franchi le seuil du 26, place Vendôme, depuis le début du XXe siècle.

Diamants blancs et diamants de couleur, émeraudes, saphirs, rubis et perles, répertoriés suivant leur poids, leur prix et surtout l’identité de leurs vendeurs et de leurs acheteurs », décrit Vincent Meylan en guise d’introduction à son ouvrage.

Un récit plein d’éclat où l’on croise le tsar Nicolas II, Sarah Bernhardt, Rita Hayworth, Françoise Sagan…

Où l’on se passionne pour les histoires d’amour, d’argent, de sexe, de crime. Comme dans un roman.
« Archives secrètes Boucheron », par Vincent Meylan. Éditions Télémaque, 450 p., 26 €. 
 http://www.editionstelemaque.com/site2/f/index.php

Yayoi Kusama al Pac di Milano

Milano rende omaggio all'artista giapponese Yayoi Kusama.
Dal 28 novembre al 14 febbraio 2010 il Pac di Milano celebra Yayoi Kusama con la mostra ”Yayoi Kusama: I want to live forever”.
A cura del direttore del National Museum of Art di Osaka Akira Tatehata, l’esposizione raccoglie una serie di opere tra dipinti, sculture e installazioni di una tra le più grandi protaogniste dell’arte contemporanea giapponese.

Pezzo forte dell’esposizione, organizzata dal Comune di Milano e 24 Ore Motta Cultura in collaborazione con Gagosian Gallery, l’installazione-scultura “Narcissus Garden” che, presentata alla Biennale di Venezia nel 1966, arriva nel capoluogo lombardo per la prima volta.
Una mostra sconcertante e insieme sorprendete.
Merita una nota particolare lo spettacolare dipinto a cinque pannelli I Want to Live Forever (2008), come anche le grandi tele monocromatiche degli Infinity Net.
Orari

Lunedì 14.30-19.30 / da martedì a domenica 9.30-19.30 / giovedì 9.30-22.30

Modelle Over Size contro l'anoressia


Sei modelle Plus-Size sono state le protagoniste di una campagna sociale, unite contro i disturbi alimentari più conosciuti: anoressia e bulimia.
Elisa D’Ospina, Mjriam Bon, Marina Ferrari, Aija Barzdina, Valentina Fogliani (nella foto) ed Eleonora Finazzer, testimonial di importanti griffes di moda sono state immortalate dal fotografo Luca Patrone.

In questi scatti possiamo ammirare la bellezza della donna con le sue curve e con qualche chilo in più come risposta a quei modelli sempre più restrittivi che la moda continua ad imporre.“ Insieme si può fare!” è stato lo slogan con il quale le modelle hanno voluto ribadire il proprio impegno in prima persona nella lotta contro le sofferenze legate al cibo: proliferano infatti su web centinaia di blog e portali pro-anoressia e pro-bulimia dove le utenti si scambiano suggerimenti su come perdere peso con tecniche pericolose e discutibili.
Con la loro bellezza, le sei modelle dimostrano che le curve possono essere vissute ed esibite con naturalezza ed eleganza.

Perché “Curvy Can!”
Un messaggio che incita l’autostima e l’amor proprio..
Le modelle supermagre che si vedono in tv non sono certo la causa delle scelte di molte adolescenti; semmai sono il cerino che infiamma una benzina ormai versata.
La loro autostima era basata unicamente sul risultato e per questo erano pronte a rischiare tutto.

La modella Isabelle Caro, usata e – a suo dire – abbandonata, da Oliviero Toscani per la campagna contro l’anoressia, ha posato per delle sconvolgenti foto che la ritraevano nuda pelle ed ossa; in un’intervista Isabelle racconta di aver smesso di mangiare a 12 anni perchè la madre, malata di depressione, non voleva che lei crescesse, che diventasse adulta.
Queste testimonianze dovrebbero farci riflettere.

Alcune informazioni utili:
Nell’ultima fase della malattia il calo ponderale è notevole (la riduzione è almeno del 15-20% del peso ottimale) e la mente comincia a mostrare segni di cedimento, con il calo della concentrazione, la perdita di memoria e di capacità di giudizio critico e disturbi frequenti del sonno.
Nel 15-20% dei casi di anoressia si arriva alla morte del paziente.
Esistono oggi centri specializzati per la cura dell’anoressia, ma il primo passo della terapia consiste nella presa di coscienza del problema da parte del paziente e di chi gli vive vicino. Nonostante la complessità della malattia, se affrontata da medici esperti e con la collaborazione del malato e dei suoi cari, la guarigione può essere totale fino al ritorno a una qualità di vita normale.

venerdì 18 dicembre 2009

Apre la nuova Bocconi Gallery ovvero quando l'Università diventa museo..


L’università invita i milanesi a scoprire la «sua» collezione d'arte: 69 opere di 33 artisti internazionali
Ateneo o museo?
Il complesso dell’Università Bocconi è di per sé un’antologia di archi­tettura del 900: Pagano, Muzio, Ceret­ti, Gardella, fino all’ultimo edificio dello studio irlandese Grafton, inau­gurato nel 2008.
Ma da qualche anno il dialogo con l’estetica avviene an­che attraverso l’arte contemporanea: la Bocconi ha instaurato un rapporto con artisti, esperti e collezionisti (tra cui Giuseppe Panza di Biumo e la gal­leria Fumagalli di Bergamo) che le hanno concesso in comodato d’uso pezzi di prestigio. Primo esempio la Fondazione di Arnaldo Pomodoro, rappresentato con tre «Papiri» in bronzo e una «Colonna».

L’anno scorso è stato costituito il comitato «Arte per la Bocconi»: presieduto da Severino Salvemini, direttore del cor­so bocconiano di management per l’arte, la cultura e la comunicazione, ha il compito di selezionare le opere.
Oggi il patrimonio della facoltà conta 68 opere di 32 artisti interna­zionali — Costantini, Fermariello, Graham, Griffa, LeWitt, Kounellis, Simpson, Sims e molti altri — ed è arrivato il momento di farlo sapere all’intera città: domani con un inedi­to happening creativo si inaugura «Bag», Bocconi Art Gallery.
L’evento è aperto a tutti, con bar-happy hour nel foyer: per visite libere l’ingresso è in via Roentgen 1, se invece si vo­gliono seguire i percorsi guidati da Aim l’appuntamento è in via Sarfatti 25. In più, tra le 18.30 e le 20 incon­tro diretto con alcuni degli artisti in mostra, come Pomodoro, Christiane Beer, Arthur Duff, Giuseppe Spagnu­lo, Mauro Staccioli.
Alle 21 gran fina­le in concerto nell’aula magna: per i 60 anni di Furcht alle 21 si esibisce la Civica Jazz Band diretta da Enrico In­tra, guest star Enrico Rava.
INFORMAZIONI: Mercoledì 16 dicembre, via Roentgen 1, ore 18-23, visite guidate ogni 15 minuti tra le 18 e le 20 in via Sarfatti 25

Un joli texte sur "Nuances mémorielles du totalitarisme"


En consultant un site (www.lesouffleur.net) j'ai remarqué un excellent texte écrit par une redactrice du site, Maeva Rinkel..

Encore sous le charme de cette plume, le voilà !

"Vie et Destin de Vassili Grossman est un roman fleuve et polyphonique dont l’ambition affichée était d’être le guerre et paix du XXème siècle.
Le fil rouge de l’histoire, le destin tragique de deux sœurs Chapochnikova, est cousu sur la bataille de Stalingrad de 1942.
Lev Dodine s’empare de cela et façonne en un peu plus de trois heures, une véritable allégorie de la peur.
L’im-passe
Au départ , il est question d’un jeu de ballon.

Nous sommes en 1942, la bataille de Stalingrad ne tardera pas à battre de son plein, il sera question de goulags, de camps, de ghettos, de morts froids, d’obus chauds. Mais au départ, c’est un simple volley.
La balle frôle chacun des acteurs, elle glisse entre les deux camps, elle vole et semble légère bien qu’elle soit celle qui accapare tous les personnages.
Cette balle, on aurait également pu l’appeler Peur. La peur qui hantera tous les instants de la pièce qui s’apprête à se dérouler. Une peur d’autant plus forte que les acteurs ne hurlent jamais son nom. Une peur en filigrane de chacune de leurs assertions, de chacun de leurs mouvements - de chacun de nos propres affects face à la puissance du texte.
Une vraie vie affirmée.
Or, il ne saurait être question d’allégorie de la peur que dans une pièce qui vit pleinement.
Et celle-ci, oh, regorge d’énergie.

Lev Dodine par l’usage atypique qu’il fait de la scène (renfermant cinq lieux qui dans l’esprit du spectateur dont clairement distincts bien qu’ils soient concrètement mêlés) renouvelle le ton de la pièce tous les quarts d’heures.
Les trois heures glissent dès lors à l’image de la neige mise en scène, fugaces à tomber, pérennes à hanter.
De surcroit, l’usage de la langue russe renforce le sentiment de vrai que les acteurs, par une parfaite maîtrise de leurs jeux, suscitaient déjà.
...et doucement nuancée
Mais s’il est question d’une illusion de vrai, il n’est en revanche jamais question de vérité assénée. Nul dogmatisme ; la pièce donne juste à songer aux jougs du nazisme et du stalinisme. Tout Vie et Destin est affaire de nuance.
D’une scène, la lumière vive et les quelques notes de musique viennent chasser un précédent ton pathétique ; quelques rimes chaudes ponctuent l’effroi, quelques danses légères se glissent dans l’intensité des combats.
L’usage de la musique pour renforcer le tragique.
Par brefs instants, des notes de piano ou quelques contre-chants se font entendre.
Comme de jolies gouttes d’art et d’humanité au milieu des logiques totalitaires subies par les protagonistes.
Et la fine bruine de se transformer en un véritable raz-de-marée quand la scène finale nous est donnée à voir.
Les instruments comme seuls vêtements, les prisonniers des camps sont, métaphoriquement (et pas que) dévêtus de toute dignité.
Alors, dans nos ventres, le malaise qui gonflait ne peut qu’éclater. Et nos mains, de battre le génie de Dodine, ne parviendront plus à s’arrêter. "
Photo : Anton Alain
Auteur : Maeva Rinkel

mercoledì 16 dicembre 2009

Guy Bourdin

Le grand magasin de la rive gauche, Le Bon Marché, a rendu hommage au célèbre photographe Guy Bourdin.
Légende dans l'univers de la création (publicité, cinéma…) et figure incontournable de la photo de mode sur la scène internationale, l'exposition dévoile pour la première fois des films très personnels de l'artiste.
A travers une mise en scène teintée de mystère et magnifiant son travail, l'exposition retrace un parcours visuel inédit.

Elle divulgue une recherche esthétique et émotionnelle fascinante.
Emblématique du glamour, l'œuvre de Guy Bourdin peut grâce à l'exposition s'appréhender d'une manière inédite.

Les images fonctionnent en association libre, au plus près des pensées du maître. Cette installation offre l'occasion rare de comprendre la démarche du créateur et de percevoir comment l'homme a pu devenir l'un des photographes les plus influents de XXIe siècle.
Exposition Guy Bourdin, Ses films

Le livre des 200 plus belles sculptures du monde..

Ce livre est un recueil des sculptures les plus importantes de l'histoire de l'art.
Les œuvres sont classées de manière chronologique.
Le livre s'ouvre sur une sculpture datant de 2400 avant Jésus Christ, l'intendant Ebih-Il, pièce majeure de la civilisation sumérienne.

Il se ferme sur une œuvre de Christian Boltanski, les Suisses Morts créée en 1990.

Entre ces millénaires d'autres créations sont couchées sur papier glacé.
L'auteur égrène les siècles comme on taille une pierre, délicatement et sûrement.
Jean-Luc Chalumeau livre pour chaque sculpture ce qu'il faut retenir de son histoire et de son style.

Mais gare au néophytes, certains termes peuvent paraître arides, il reste alors les illustrations pour prendre pleinement conscience de la beauté de cet art.

Les 200 plus belles sculptures du monde
Editions le Chêne 45 euros

domenica 13 dicembre 2009

le 10 signore over 40 più belle del mondo








































Sono le donne che hanno superato i quarant’anni eche continuano a far sognare uomini di tutte le età.
Questa classifica dimostra che l’età è solo un numero e spero che nessuno si offenda per le date di nascita riportate… dimostrano tutte alcuni anni di meno!
Anzi, ove possibile, ho cerato di utilizzare foto recenti e poco ritoccate dai fotografi.

Eccovi dunque, grazie ai 350 votanti per oltre 1200 voti espressi, la classifica delle dieci donne più belle del mondo, tra tutte quelle nate prima del 1° Gennaio 1970.

10° Posto: Sophie Marceau (nata il 17 Novembre 1966).
Sicuramente la donna con la più lunga carriera tra le splendide dieci. Era infatti poco più di una bambina quando fu scelta per “Il Tempo delle Mele”; da allora sono passati quasi trent’anni e l’attrice francese, madre di due figli, ha maturato uno charme unico, premiato dai nostri lettori con questa citazione.

9° Posto: Luisa Corna (nata il 2 Dicembre 1965).
Gli Italiani l’hanno scoperta già “matura”, nel ‘97, come Dea Kalì per Salvatores in Nirvana e come corista a Domenica In. Poi sono arrivati gli anni da valletta a Controcampo ed infine il ritorno al suo primo amore, il canto, che l’ha portata anche a Sanremo. Quest’anno non ha uno spazio fisso in tv, ma i lettori la ricordano bene e la inseriscono in una classifica che vede più straniere che italiane.

8° Posto: Paola Perego (nata il 17 Aprile 1966).
La ricordate come valletta a Calciomania? Certo che di strada ne ha fatta tanta e il tempo l’ha resa forse ancor più bella di allora… Forum, La Talpa, Verissimo, Questa Domenica, La Fattoria, per citare solo alcuni dei programmi a lei affidati. Spesso è stata messa in discussione la qualità dei suoi programmi (considerati trash), ma mai la sua bravura e tanto meno la sua bellezza. Viene dal piccolo stop dovuto alla cancellazione de “La Tribù”, ma siamo convinti che non le mancherà una nuova occasione.

7° Posto: Nicole Kidman (nata il 20 Giugno 1967).
Fa quasi sensazione vedere una delle donne più belle dl mondo così indietro in classifica, ma questo dimostra quante splendide quarantenni ci siano. L’Australiana, moglie di Keith Urban ed ex-moglie di Tom Cruise, paga forse un leggero calo di popolarità dovuto allo scarso successo dei suoi ultimi film (verifica: provate un po’ a ricordarvi qualche titolo degli ultimi 5 anni…). E paga anche la scelta del suo alleato nel combattere i segni del tempo, che, a giudicare dalle foto, a noi sembra che si chiami botulino…

6° Posto: Sabrina Ferilli (nata il 28 Giugno 1964).
Dopo 4 new entry delle nostre Hot10, arriva invece un’habituée… Sabrina è già stata citata tra i seni più belli, i migliori calendari della storia e soprattutto ha avuto il riconoscimento di miglior topless dell’Estate 2009. Più bella adesso che a vent’anni? Beh, se avete visto qualche film di fine anni ‘80, probabilmente concorderete sul fatto che stia meglio con le sopracciglia più sottili… Battute a parte, una gran donna, capace di passare dai film d’autore (Ferreri) ai cinepanettoni, dalla fiction al teatro di Garinei e Giovannini con professionalità. È (per poco) la meno giovane in classifica.

5° Posto: Elizabeth Hurley (nata il 10 Giugno 1965).
Con Liz anche l’Inghilterra è presente in classifica. Il suo mestiere è quello dell’attrice, ma, almeno qui in Italia, non si può certo considerare un’attrice famosa. Nota lo è invece soprattutto per una vecchia storia, l’arresto del suo fidanzato Hugh Grant, reo di intrattenersi per strada con una prostituta… Potremmo quasi dire che la Hurley “campa di rendita”, anche se adesso è sposata con un miliardario indiano e in Inghilterra è certamente nota anche per altri motivi, che adesso mi sfuggono…

4° Posto: Jennifer Aniston (nata l’11 Febbraio 1969).
Ma quante “ex mogli di…” ci sono in classifica? E non poteva certo mancare quella di Brad Pitt! Rachel, l’eterno amore di Ross in Friends, è cresciuta e, lei sì, con i suoi successi cinematografici riesce in parte a far dimentcare il ruolo che l’ha lanciata e il marito che l’ha resa famosa. Ha un aspetto più giovanile di quanto dica la carta d’identità e scommetto che pochi di voi pensavano fosse nominabile per questa categoria… è lei infatti la più giovane in classifica.

3° Posto: Catherine Bell (nata il 14 Agosto 1968).
Subito un’altra giovanile signora ad aprire il podio. L’attrice americana è nota soprattutto per il ruolo nella serie “JAG – Avvocati in divisa”. Un vero “cult” è la sua scena di sesso nel telefilm anni ‘90 “Dream On”, mentre un aneddoto che pochi conoscono è che suo è il nudo posteriore in “La Morte ti fa Bella”: era infatti la controfigura di Isabella Rossellini. Spero di aver scelto una foto recente, non sembra certo una donna di 41 anni…

2° Posto: Halle Berry (nata il 14 Agosto 1966).
La pantera nera è stata nominata lo scorso anno “la donna vivente più sexy” da Esquire e i nostri lettori sono quasi d’accordo con quel giudizio, piazzandola al secondo posto tra le donne della sua generazione. Quasi 25 anni fa era una concorrente di beauty contest dalle belle speranze, adesso è la prima donna afro-americana ad aver vinto un Oscar (per Monster’s Ball)… E tutto questo senza rinunciare, anche da mamma over 40, ad una grande sensualità e ad un fascino magnetico.

1° Posto: Monica Bellucci (nata il 30 Settembre 1964)
45 anni portati benissimo, quelli dell’attrice di Città di Castello, ed una vittoria (netta), che mi rende particolarmente felice…
Perché è la prima volta che viene citata in una nostra Hot 10 e si può dire che la rubrica fosse poco credibile senza mai menzionare “la Bellucci”.
Dal piccolo ruolo in Dracula al successo internazionale, considerata dai Francesi il miglior prodotto importato dall’Italia…
Proprio di questa settimana è la notizia che Monica sarebbe in attesa del secondo figlio dal marito Vincent Cassel.

L'Opéra de Paris célèbre la fécondité des Ballets russes

L'Opéra de Paris célèbre sur scène, jusqu'au 31 décembre 2009, la fécondité d'une des grandes aventures artistiques du XXe siècle, les Ballets russes, à travers quatre pièces qui illustrent une belle diversité stylistique au carrefour de la danse, de la musique et des arts plastiques.


Dans la photos : Les danseurs Nicolas Le Riche et Emilie Cozette dans "L'Après-midi d'un faune".
L'Opéra de Paris célèbre sur scène, jusqu'au 31 décembre, la fécondité d'une des grandes aventures artistiques du XXe siècle, les Ballets russes, à travers quatre pièces qui illustrent une belle diversité stylistique au carrefour de la danse, de la musique et des arts plastiques.
Sébastien Mathé -
L'Opéra de Paris célèbre sur scène, jusqu'au 31 décembre, la fécondité d'une des grandes aventures artistiques du XXe siècle, les Ballets russes, à travers quatre pièces qui illustrent une belle diversité stylistique au carrefour de la danse, de la musique et des arts plastiques.
Donné douze fois au Palais Garnier, ce spectacle programmé pour le centenaire de la première saison à Paris de la compagnie Serge Diaghilev fera l'objet d'une médiatisation à la hauteur de l'événement.
Il sera diffusé en direct le 22 décembre dans près de 110 salles de cinéma en Europe (France, Royaume-Uni, Belgique, Allemagne, Suisse, Autriche, Espagne, Pologne et République tchèque), puis en différé le 1er janvier sur France 3.
C'est une longue histoire que celle qui a lié Diaghilev et ses Ballets russes à l'Opéra de Paris. Dès 1906, le mécène présentait une exposition d'art russe dans la capitale, puis l'année suivante des concerts à l'Opéra, et en 1908 une production lyrique, "Boris Godounov" de Moussorgski.
Si la compagnie de danse itinérante qu'il a fondée, bientôt connue sous le nom de Ballets russes, a donné sa première "saison" hors de Russie au Théâtre du Châtelet, elle créera dès 1910 dix pièces au Palais Garnier, et y donnera sept autres oeuvres en première française jusqu'en 1928. Et le Ballet de l'Opéra de Paris a fait entrer à son répertoire 21 pièces des Ballets russes. "L'esprit Diaghilev" fut notamment perpétué à Paris par Serge Lifar.

Dans le ballet du même nom (1911), Mathias Heymann, la plus jeune et prometteuse étoile de la compagnie, est un Spectre de la rose véritablement irréel tant il est doué pour l'élévation et la fluidité du déplacement.
Nicolas Le Riche lui emboîte le pas dans "L'Après-midi d'un faune" (1912) chorégraphié par Vaslav Nijinski.


Avec sa bouche qui feint de rugir, ses poses à l'antique et ses déplacements latéraux, le danseur montre bien la modernité de ce ballet et en libère l'animalité sensuelle, explicitement érotique, sur le "Prélude" chatoyant de Debussy et dans le décor au diapason de Léon Bakst.
Une pièce de groupe plutôt luxueuse, le "Petrouchka" (1911) de Michel Fokine, abondamment décoré et costumé par Alexandre Benois, figure également au programme.

Giacomo Leopardi

(In ricordo del primo indirizzo della mia vita :
via Leopardi 11 a Seregno (Milano) !
Aggiungo che da sempre la vita di Leopardi mi ha commossa..
La sua debole salute, il suo fisico ingrato,la sua tristezza
e malinconia espresse nelle sue poesie hanno toccato la mia sensibilità.)

Giacomo Leopardi nacque a Recanati, una piccola città di provincia dell'entroterra marchigiano, il 29 giugno 1798. Sua madre, Adelaide dei marchesi Antici, era nota per la sua esagerata parsimonia, al punto (si dice) da rallegrarsi della morte di un figlio neonato, in prospettiva del risparmio che ne sarebbe derivato. Forse per compensare questa maniacale avarizia, suo padre, il conte Monaldo, nobile reazionario e intellettuale conservatore, si dedicò a dissipare la fortuna di famiglia. In compenso accumulò una vastissima biblioteca.

Cresciuto con una rigida educazione religiosa, Giacomo Leopardi trovò presto la strada dell'accogliente biblioteca paterna che occupò il posto dei giochi dell'infanzia.


A 15 anni Giacomo Leopardi conosceva già diverse lingue e aveva letto quasi tutto: lingue classiche, ebraico, lingue moderne, storia, filosofia e filologia (nonché scienze naturali e astronomia).
Gli insegnanti che avrebbero dovuto prepararlo al sacerdozio dovettero presto ammettere di non avere molto da insegnargli.


Nei sette anni che seguirono, Leopardi si buttò in uno studio «matto e disperatissimo», in cui tradusse i classici, praticò sette lingue, scrisse un dotto testo di astronomia e scrisse un falso poema in greco antico, sufficientemente convincente da ingannare un esperto.
Il culto della gloria modellato sugli eroi antichi generava nel giovane Leopardi un forte desiderio di primeggiare, che lo spingeva a cimentarsi in opere di vario genere.
Risalgono a questo periodo le tragedie La virtù indiana e Pompeo in Egitto; La storia dell’astronomia dalla sua origine fino all’anno 1811 (1813); il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (1815), e infine l’Orazione degli italiani in occasione della liberazione del Piceno (1815), in cui, allontanandosi dall’ideologia reazionaria del padre, traduce in chiave antitirannica l’adesione al cattolicesimo e al legittimismo politico.
Divenne saggista e traduttore, specialmente di classici. Del 1816 fu il suo passaggio «dall'erudizione al bello», ossia dallo studio alla produzione poetica. Tra le prove poetiche più originali, ricordiamo l’idillio Le rimembranze e la cantica Appressamento della morte.
Nello stesso anno è da datare la sua missiva alla «Biblioteca italiana», con la quale il Leopardi difendeva le posizioni dei classicisti in risposta a Madame de Stäel.


L'anno dopo avviò una fitta corrispondenza con Pietro Giordani — che gli aprì più vasti orizzonti culturali — e iniziò la stesura dello Zibaldone; sempre in questo periodo s’innamorò della cugina del padre, Geltrude Cassi, alla quale dedicò la poesia Diario del primo amore e L’elegia prima.
Non gli fu concesso di uscire di casa da solo finché non compì vent'anni. Le sue ambizioni accademiche furono compromesse dall'insistenza del padre perché diventasse sacerdote. Esasperato dall'ambiente familiare e dalla chiusura, soprattutto culturale, delle Marche, governate dal retrivo Stato Pontificio, cercò di fuggire da casa, ma suo padre riuscì a prevenirlo e a sventare i suoi piani.


Cominciò a soffrire di una salute cagionevole, che egli attribuì ai suoi studi sregolati. Aveva una vista debole, soffriva d'asma ed era effetto da una forma di scoliosi. Si autodefiniva un «sepolcro ambulante» ed era consapevole dell'effetto che il suo aspetto provocava sulle persone che incontrava.


Ciò nonostante, non cessò di invaghirsi di fanciulle che non ricambiavano il suo affetto o lo ignoravano totalmente.
Del '18 sono le canzoni «civili» All'Italia e Sopra il monumento di Dante, nonché lo scritto Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, testi nei quali è già presente il cosiddetto pessimismo storico, ossia quell’atteggiamento agonistico verso la società contemporanea, considerata come corruttrice dei valori autentici della natura.
Persa la fede, Leopardi rivolse le sue attenzioni alla filosofia sensistica e materialistica (Pascal, Voltaire, Rousseau). Si compì così la sua conversione filosofica. A questo periodo (1819-1823) appartengono anche la composizione degli idilli L'infinito, Alla luna e altre Canzoni (pubblicate poi a Bologna nel 1824) e la sua conversione «dal bello al vero», con il conseguente intensificarsi delle sue elaborazioni filosofiche, tra cui la teoria del piacere.
Quando finalmente, nel 1822, i suoi genitori gli concessero di far visita a un cugino a Roma, la capitale lo deluse e perfino lo disgustò. La vita e l’ambiente letterario romano gli apparvero meschini e mediocri, privi di qualsiasi problematicità. Tuttavia i suoi scritti trovarono numerosi estimatori nei migliori circoli letterari di Roma, molti dei quali egli trovava insopportabili, né si curava di dissimulare il suo fastidio.
Nel 1823 fece ritorno nelle Marche, dove nel 1824 iniziò a comporre le Operette morali. Proprio le Operette segnarono, con il rifiuto dell’impegno agonistico e della partecipazione politica, la piena formulazione del «pessimismo cosmico»: la Natura veniva accusata di essere la fonte delle sventure umane, in quanto instilla nelle persone un continuo desiderio di felicità destinato ad essere sistematicamente frustrato.
Oltre alle Operette morali, come pure, più tardi, ai Canti, il trattato di filosofia politica Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani (1824) racchiude la sintesi del pensiero del poeta di Recanati. Il punto di partenza della riflessione leopardiana è l'influsso che la diffusione dell’Illuminismo ha avuto sulla morale comune: «la distruzione o indebolimento de’ principi morali fondati sulla persuasione».
Nel 1825 Leopardi riuscì a lasciare Recanati grazie all'avvio di una collaborazione con l'editore milanese Stella che gli garantì una certa indipendenza economica: fu a Milano, a Bologna (dove conobbe il conte Carlo Pepoli e pubblicò un'edizione di Versi), a Firenze (dove incontrò Manzoni e scrisse altre due operette morali) e a Pisa (dove compose Il risogimento e A Silvia).
Mangiava disordinatamente, prediligendo i dolci, si lavava poco e si cambiava raramente d'abito. Ridicolizzava chi gli stava antipatico, non importa quanto lo ammirassero, e diceva peste e corna sia della visione secolare e liberale del mondo che della consolazione della religione. Costretto a tornare a Recanati nel 1828, proseguì la produzione lirica che aveva iniziato a Pisa con l'approfondimento delle tematiche della «natura matrigna» e della caduta delle illusioni.
Nel 1827 uscirono presso l’editore Stella la prima edizione delle Operette morali e la Crestomazia italiana, un’antologia della prosa d’arte italiana, seguita l’anno successivo dalla Crestomazia poetica italiana.
Nel '30 uno stipendio mensile messogli a disposizione da alcuni amici gli permise di lasciare nuovamente Recanati e di stabilirsi a Firenze, dove iniziò una vita di più intesi rapporti sociali. Qui s'innamorò di Fanny Targioni Tozzetti (la delusione scaturita dall'amore per lei gli ispirerà il ciclo di Aspasia) e strinse amicizia con Antonio Ranieri. Nel 1831 uscì la prima edizione dei Canti e iniziò probabilmente a lavorare ai Pensieri e ai Paralipomeni della Bratacomiomachia (conclusi nel 1835). Sempre più lucida e impetuosa divenne in questi anni la sua critica delle ideologie spiritualistiche e della civiltà borghese contemporanea. Su questo sfondo nacquero nel 1832 le ultime operette il Dialogo di Tristano e di un amico e Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere.
Aggravatasi la sua malattia agli occhi, nel 1833 si trasferì a Napoli con Ranieri.


Nel 1835 vennero pubblicati la Palinodia al marchese Gino Capponi e la seconda edizione dei Canti, che l’anno successivo venne sequestrata dalla polizia.
Del '36 è La ginestra, del '37 Il tramonto della luna e probabilmente I nuovi credenti, in cui satireggia lo spiritualismo ottimistico degli intellettuali napoletani.


Durante questo soggiorno napoletano Leopardi approdò a un nuovo senso della comune sorte degli uomini, ossia a quel senso della solidarietà umana fondata sulla conoscenza del «vero».
Quando la sua salute peggiorò, gli amici e la sorella Paolina lo assistettero con grande affetto. Un attacco d'asma ebbe la meglio su di lui, esaudendo l'unico desiderio che pensava un uomo potesse sinceramente custodire.
Morì a Napoli, dove infuriava il colera, il 14 giugno del 1837. Venne sepolto nella chiesetta di San Vitale e nel 1839 le sue spoglie vennero trasferite presso la cosiddetta «tomba di Virgilio» a Mergellina.

Il Verrocchio


Andrea di Francesco di Cione detto Il Verrocchio
(Firenze, 1437 – Venezia, 1488)
è stato uno scultore, pittore e orafo italiano.
Fu attivo soprattutto alla corte di Lorenzo de' Medici. Alla sua bottega si formarono come allievi Leonardo da Vinci, Perugino, Domenico Ghirlandaio, Francesco Botticini, Francesco di Simone Ferrucci.
Rivestì un ruolo importante nella tendenza a misurarsi con diverse tecniche artistiche, manifestatasi nella Firenze di fine Quattrocento, e infatti la sua bottega divenne polivalente, con opere di pittura, scultura, oreficeria e decorazione, così da poter far fronte all'insistente domanda proveniente da tutta l'Italia di prodotti fiorentini.

Tecnicamente molto esperto e curato (grazie anche alla sua lunga attività di orefice), fu consapevole dell'importanza fondamentale e dell'inarrivabilità dell'opera di Piero della Francesca, da cui assimilò l'uso della linea, che in lui diventò marcata e incisiva, indagatrice del dinamismo psicologico dei soggetti (soggetti spesso tipizzati in base alla loro categoria di appartenenza).

Nacque a Firenze tra 1434 ed il 1437 nella parrocchia di Sant'Ambrogio (la sua casa natale si trova oggi tra via dell'Agnolo e via de' Macci). Sua madre Gemma mise al mondo otto figli ed Andrea fu il quinto.

Il padre, Michele di Cione, era fabbricante di piastrelle e successivamente esattore delle tasse. Andrea non si sposò mai e dovette provvedere al sostentamento di alcuni tra i suoi fratelli e sorelle, a causa dei problemi economici della sua famiglia. La sua notorietà crebbe notevolmente quando venne accolto alla corte di Piero e Lorenzo de' Medici, dove rimase fino a pochi anni prima della sua morte, quando si spostò a Venezia, pur mantenendo la sua bottega fiorentina.

Il primo documento che lo cita risale al 1452 ed è relativo ad una rissa dove un giovane perse la vita a causa di una sassata di Andrea.
Suo fratello Simone fu un monaco di Vallombrosa e divenne abate di San Salvi. Un fratello fu operaio tessile e una sorella sposò un barbiere.
Iniziò a lavorare come orafo, nella bottega di Giuliano Verrocchi, dal quale sembra che Andrea abbia in seguito preso il cognome. I suoi primi approcci alla pittura risalirebbero alla metà degli anni 1460 quando lavorò a Prato con Fra Filippo Lippi nel coro del Duomo.

Resta famosa una denucia anonima di sodomia che coinvolse gli allievi della sua bottega, fra gli altri anche il giovane Leonardo da Vinci.

Nel 1465 circa scolpì il lavabo della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, mentre tra il 1465 e il 1467 eseguì il monumento funebre di Cosimo de' Medici nella cripta sotto l'altare della stessa chiesa e nel 1472 terminò il monumento funebre per Piero e Giovanni de' Medici, ancora nella Sagrestia Vecchia. tutte le opere di questo periodo sono a tempera su tavola. Lo stile del Verrocchio in pittura è intensamente realistico, con modi ripresi dalla pittura fiamminga, costruito da una linea espressiva e ricca di pathos.
Tra il 1474 e il 1475 realizzò il Battesimo di Cristo, ora agli Uffizi, con il giovane allievo Leonardo da Vinci, che dipinse quasi sicuramente l'angelo di sinistra e i fondali paesistici. In quest'opera la composizione è triangolare con al vertice la ciotola nella mano di san Giovanni Battista e come base la linea che collega il piede sinistro del Battista a quello dell'angelo inginocchiato; in essa è inscritta e funge da centro visivo la figura del Cristo in piedi che da alla scena un movimento rotatorio, accentuato dalla posizione di tre quarti dell'angelo sulla sinistra, che volge le spalle all'osservatore.
In questo angelo è stata riconosciuta la mano di Leonardo, diversa per la grazia e morbidezza rispetto alle altre figure monumentali e definite dalla linea incisiva del contorno; allo stesso modo il paesaggio sullo sfondo aperto su di un'ampia valle percorsa da un fiume, reso con valori atmosferici che ne hanno ammorbidito e sfumato le forme, si differenzia dalle rocce rozzamente squadrate.

L'unico dipinto, totalmente autografo, giunto ai giorni nostri di cui è praticamente certa l'attribuzione al Verrocchio è la Madonna e bambino con i santi che si trova nella Cattedrale di Pistoia. Del 1468 è il candelabro, ora ad Amsterdam, realizzato per un corridoio di Palazzo Vecchio. La base è formata da tre lati su due è scritto rispettivamente MAGGIO e GIUGNO, sul terzo vi è la data in numeri romani, 1468. Nei primi anni settanta del Quattrocento compì un viaggio a Roma.

Intorno al 1474 fu chiamato ad eseguire il monumento Forteguerri per il Duomo di Pistoia, che lasciò incompiuto. A partire dalla seconda metà degli anni 1470 il Verrocchio si dedicò principalmente alla scultura, secondo le leggende narrate dal Vasari per via del confronto con il suo allievo Leonardo che aveva superato il maestro. Attenendosi in un primo tempo ai modelli canonici fiorentini, come nel David bronzeo del Bargello, su commissione di Lorenzo e Giuliano de' Medici del 1475 circa, riprese lo stesso soggetto di Donatello, ma stilisticamente, vista l'idealizzata e goticizzante bellezza, si rifece al Ghiberti, risolvendo il tema dell'eroe cristiano in un paggio cortese.

Nel 1478 circa realizzò il Putto alato con delfino, originariamente destinato a una fontana per la villa medicea di Careggi, dove l'acqua usciva dalla bocca del delfino e spruzzava in alto ricadendo, ora conservato a Palazzo Vecchio. In esso si percepiscono echi del dinamico naturalismo appreso da Desiderio da Settignano, che lo indirizzò verso la trasfigurare della materia scultorea in morbide forme levigate, mentre il soggetto deriva dall'antico, ma reinterpretato in sorridente un putto danzante, in precario equilibrio, con il manto che si incolla alla schiena e il ciuffo bagnato, appiccicato alla fronte. Dello stesso periodo è il busto della Dama col mazzolino, dove per evitare una rigida visione frontale e per rendere più dinamica la composizione girò il volto della donna e, grazie all'espediente del taglio del ritratto all'altezza dell'ombelico, poté inserirvi anche le mani.

Sempre dello stesso periodo è il rilievo per il monumento funebre di Francesca Tornabuoni per la chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma (ora al Bargello). Nel 1479 la Repubblica di Venezia decretò la realizzazione di un monumento equestre per il condottiero Bartolomeo Colleoni, morto tre anni prima, da collocarsi in campo SS. Giovanni e Paolo, nel 1480 ne affidò l'esecuzione ad Andrea Verrocchio, nel 1481 il modello di cera venne mandato a Venezia, dove nel 1486 si trasferì l'artista per attendere alla fusione in bronzo del gruppo. Andrea morì nel 1488 a lavoro non terminato, l'artista aveva nominato erede ed esecutore Lorenzo di Credi, ma la Signoria veneziana gli preferì Alessandro Leopardi, artista locale.
Per la realizzazione del gruppo Andrea si rifece alla statua equestre del Gattamelata di Donatello, alle statue antiche di Marco Aurelio, dei cavalli di San Marco e del Reggisole, ma tiene anche presente l'affresco con Giovanni Acuto di Paolo Uccello in Santa Maria Novella.

È la prima statua equestre in bronzo a ritrarre una delle gambe del cavallo in posizione sollevata. In altre parole, l'intero peso della statua è sorretto da tre gambe invece che quattro.
La statua è inoltre notevole per l'espressione attentamente osservata sul volto del Colleoni: il condottiero, rivestito dall'armatura, si erge in posa solenne e con lo sguardo, sottolineato dalla zona d'ombra data dal cimiero, aggrottato, l'effetto dinamico del gruppo è dato dall'incrocio di due diagonali una quella formata dal profilo superiore del corpo del cavallo l'altra quella che va dal busto del condottiero alla dalla zampa anteriore sinistra del cavallo, piegata ad angolo retto.

Gli viene inoltre attribuita la Madonna Ruskin della National Galleries of Scotland a Edimburgo, datata al 1470 e alla sua bottega sono da riferire le tavole della National Gallery di Londra con Tobiolo e l'angelo, realizzata tra il 1470 e il 1480 e la Madonna col Bambino e due angeli del 1470 circa.

giovedì 10 dicembre 2009

Lacroix c'est fini ?




« La Couture c'est fou, contradictoire, imprévisible et, surtout, c'est plus fort que moi. ».

C’est ce que déclarait Christian Lacroix aux prémices de son aventure Mode.

Une passion à la limite de l’amour fou unissant le couturier à sa maison de Couture.

Aujourd’hui, faute de repreneur capable de présenter les garanties financières à leurs offres de reprises, le tribunal a donc suivi le plan proposé par les propriétaires américains de la maison. Bilan, une centaine de salariés licenciés et des petites mains effondrées.
Se sont elles qui portent sur le devant de la scène médiatique leur tristesse à l’idée d’abandonner leur Maison de cœur.

Les signes avant-coureurs étaient légions : un défilé Haute-Couture dont beaucoup disaient qu’il serait le dernier, des banderoles et des badges arborés par les équipes créatives et les journalistes.
La disparition de la maison Lacroix des deux calendriers (Haute-Couture et Prêt-à-Porter) est bien plus qu’une « simple » affaire de société déficitaire.

C’est une partie du patrimoine et de la Culture Luxe et Mode de la France qui disparait.

Paris 1971 :
le jeune Christian Lacroix « monte » à Paris pour faire un mémoire autour du « Costume à travers la peinture du XVIIème siècle » et préparer le concours des Conservateurs.
Il aimait créer de manière libre de tous engagements et de toute pression.
Créateur et homme d’affaire , il avait une vision pourtant juste du milieu :
« Dans cette fin du XXe siècle, la couture survivra si elle trouve sa cohérence entre le prêt-à-porter de luxe qu'elle ne doit pas être et la créativité radicale qui n'est pas son rôle, la clientèle, même nouvelle, n'échappe pas à certains codes. »
Garder son âme, essayer, oser et être rentable, mot de la fin à Lacroix, visionnaire malheureux d’une fin qui nous touche :

« Certains créateurs font un travail de couturier, d'autres proposent une image obsolète de la femme. Une jupe droite à la main ne signifie pas grand chose. L'avenir est entre les deux car l'envie individuelle d'un vêtement unique et artisanal existera toujours et d'autant plus qu'on aura à refuser l'uniforme. Dans ma maison en tous cas : c'est l'éphémère, le particulier, l'unique qui sont les meilleurs signes de l'identité. Le luxe en soi doit justement déboucher sur une individualité, une différence, un dandysme - et pas sur une bourgeoisie esthétiquement désuète. Je crois que l'on n'a qu'une seule chose à dire mais que cette chose évolue sans cesse. C'est cette constance dans le changement qui détermine un style. »