martedì 10 maggio 2016

Nellie Bry, la prima giornalista globe trotter che fa onore alle donne !


Nata nel 1864, la giornalista americana Nellie Bry diventa famosa facendo il giro del mondo in 72 giorni, sfidando tutti i pregiudizi dell'epoca,e diventando un'icona dei suoi tempi.



«Solo un uomo può farcela», si sentì rispondere Nellie Bly dalla redazione del «New York World» di Joseph Pulitzer, dopo essersi offerta di compiere il giro del mondo, convinta di poter impiegare meno degli 80 giorni occorsi a Phileas Fogg nel romanzo di Giulio Verne

Una donna – le fu detto – non avrebbe mai potuto riuscire una tale avventura senza un accompagnatore, per non parlare dei pesanti bagagli che certo si sarebbe trascinata dietro, destinati a rallentarla notevolmente.

Con la tenacia che sempre la contraddistinse, Nellie Bly – pioniera del giornalismo investigativo e di quello sotto copertura – non si lasciò demoralizzare. 

Comprendendo bene quanto il progetto avrebbe sollevato la curiosità del pubblico, la rivista rivale «Cosmopolitan» decise di farla emulare dalla sua inviata Elizabeth Bisland Wetmore, dando così il via a una vera e propria competizione, che vide infine la vittoria di Nellie Bly

Quest'ultima lasciò Hoboken il 14 novembre 1889 e rimise piede negli Stati Uniti il 25 gennaio 1890, dopo settantadue giorni, sei ore, undici minuti di viaggio e circa ventottomila miglia percorse. Dall'esperienza – che la trasformò, come si disse allora, nella ragazza più famosa del pianeta – fu tratta la sua opera forse maggiormente nota, Around the World in 72 Days

Malgrado l'enorme popolarità acquisita, Nellie Bly ebbe però sempre un rimpianto: aver dimenticato di portare con sé, a causa della partenza frettolosa, la preziosa macchina fotografica Kodak.

Elizabeth Jane Cochran (questo il vero nome di Nellie Bly) nacque a Cochran's Mill, vicino Apollo, in Pennsylvania, il 5 maggio 1864. 

La morte del padre rese precaria la situazione finanziaria della famiglia; come se non bastasse, ben presto il nuovo patrigno si rivelò alcolizzato e violento, al punto che la medesima Elizabeth da adolescente testimoniò contro di lui durante il processo di divorzio intentato dalla madre. 

Costretta da ristrettezze economiche a sedici anni ad abbandonare gli studi per divenire insegnante, la ragazza si trasferì a Pittsburgh. 

Qui, un giorno del 1885, le capitò di leggere su un quotidiano locale, il «Pittsburgh Dispatch», un articolo misogino di Erasmus Wilson dall'eloquente titolo «What Girls Are Good For» (“A cosa sono buone le ragazze”), in cui venivano aspramente criticate le donne che cercavano una fonte di sostentamento fuori casa, voltando in questo modo le spalle al luogo a loro più consono, il focolare domestico. 

Indignata, Elisabeth Jane Cochran spedì al giornale la sua risposta in difesa delle lavoratrici, firmandosi “Lonely Orphan Girl” (“Orfanella sola”), a cui seguì un suo articolo su argomenti affini («The Girl Puzzle») che le aprì le porte del «Pittsburgh Dispatch»: aveva appena visto la luce Nellie Bly.


Nessuno a quell'epoca sospettava che dietro il melodioso pseudonimo, ispirato a una canzone di Stephen Foster, si potesse nascondere una personalità destinata a scrivere una pagina della storia dell'informazione.

In seguito, la giovane si concentrò più volte sulle condizioni degli indigenti e delle donne in fabbrica, per poi trasferirsi nel 1886 in Messico come corrispondente straniera

Obbligata in diverse occasioni a prestare la sua penna a contenuti comunemente ritenuti più “femminili” (in realtà, meno spinosi per gli industriali della città americana, che non apprezzavano indagini sui loro dipendenti), nel 1887 Nellie Bly si trasferì a New York in cerca di fortuna.



Dopo mesi di tentativi infruttuosi, approdò al «New York World», dove le fu proposto di fingersi pazza per infiltrarsi in uno dei luoghi più sordidi dell'intero territorio, il manicomio femminile di Blackwell's Island. 

L'inchiesta di Nellie Bly confermò la cattiva reputazione del sanatorio, più simile a un luogo di reclusione che di cura, definendolo «una trappola umana per topi. È facile entrare ma, una volta lì, è impossibile uscire». 

Cibo scadente, bagni gelati, scarsa igiene e maltrattamenti costituivano la regola; inoltre, insieme a coloro che erano realmente affette da patologie psichiatriche, si trovavano emigrate povere e donne ripudiate dai familiari, sane di mente ma rifiutate dalla società. 

Quando l'inchiesta (generalmente conosciuta col nome del volume che ne fu tratto, Ten Days in a Mad-House) apparve sulla stampa, destò grande scalpore, tanto che furono presi provvedimenti e aumentate le sovvenzioni per migliorare lo status delle pazienti.

Successivamente, Nellie Bly, oltre a realizzare il suo celebre giro del mondo, si occupò (non di rado sotto copertura) di temi quali lo sfruttamento delle operaie, il destino dei bambini non desiderati, le condizioni di lavoro delle domestiche o la vita in un istituto di carità, senza disdegnare soggetti decisamente più leggeri, ma reputati interessanti dai lettori (il mesmerismo, le case infestate, il funzionamento delle agenzie matrimoniali...).



Nel proporsi al pubblico, la donna cercò un equilibrio fra due degli ideali femminili in voga fra l'800 e il 900, cioè la Gibson girl, così chiamata sulla scorta della musa tipica dell'illustratore Charles Dana Gibson – graziosa, audace, affascinante –, e la New Woman, indipendente, istruita, progressista e sostenitrice della parità fra i sessi. 


Non a caso, la giornalista si interessò a più riprese della scottante questione del suffragio femminile, giungendo persino a prevedere che per la sua affermazione in tutti gli stati della federazione americana si sarebbe dovuto attendere almeno il 1920 (proprio quell'anno fu ratificato il diciannovesimo emendamento della Costituzione, concedente il diritto di voto alle donne). 

La stessa Nellie Bly – testarda, audace, pronta a gettarsi in ogni genere di avventura – divenne a sua volta un modello di riferimento per le cosiddette stunt girls che, sulla scia della loro eroina, anelavano a intraprendere una brillante carriera da reporter.

Nel 1895 la giornalista sposò Robert Livingston Seaman, divenendo qualche tempo dopo presidentessa di una delle aziende del marito, la Iron Clad Manufacturing Company, nonché della American Steel Barrel Company, la quale produceva anche dei barili di acciaio brevettati da Bly in persona. 


Rimasta vedova dopo otto anni di matrimonio, Nellie – gravata dai debiti – dovette dichiarare bancarotta nel 1914. 
In quei mesi partì per l'Europa e lì si mantenne come corrispondente di guerra per «The Evening Journal»; non dimenticò, comunque, di aiutare vedove e orfani. 

Tornata negli Stati Uniti un lustro più tardi, continuò a scrivere e a mobilitarsi per i piccoli in difficoltà.

Poche settimane prima della sua scomparsa, avvenuta il 27 gennaio 1922, Nellie Bly lasciò detto: «Non ho mai scritto una parola che non provenisse dal mio cuore. E mai lo farò.»

Ogni suo testo – che sia frivolo, commovente o indignato– ne è ancora oggi la vibrante conferma.




domenica 8 maggio 2016

Passionalissima Alba Parietti




A me, Alba Parietti piace molto.
Mi piace come parla, quello che dice, come si veste e come si trucca..
E' too much, provocante, arrogante con una certa classe italiana, che mischia passionalità, originalità, cultura e un gran carattere !


Scheda di
Alba Parietti
Altezza: 177 cm

Peso: 59 kg

Età: 54 anni

Segno: Cancro








Alba Antonella Parietti nasce a Torino il 2 luglio del 1961. 

Debutta nel 1977 con la pièce teatrale “L’importanza di chiamarsi Ernesto” di Oscar Wilde, e l’anno successivo concorre a “Miss Italia” senza  arrivare in finale.

Nei primi anni Ottanta comincia a lavorare nelle TV e nelle emittenti radiofoniche del Piemonte, ottenendo piccole parti in film di successo come “Sapore di mare“.
Alba Parietti ha avuto una vita sentimentale alquanto movimentata. 
Sono tanti gli uomini che, in tutti questi anni, si sono alternati al fianco della bellissima showgirl. 
A partire da Franco Oppini, che Alba ha sposato nel 1981 e da cui ha avuto un figlio, Francesco, per poi separarsi nel 1991.

Nel corso degli anni Ottanta, Alba approda alla RAI dove le viene affidata la conduzione di diverse trasmissioni televisive, fra cui “Galassia 2″ di Magalli e Boncompagni.

Nello stesso periodo  debutta nel mondo della musica con i brani come “Jump do it” e “Only music survives”, che riscuotono un certo successo  in Italia e all’estero. 


Nonostante  fruttuose collaborazioni con grandi talenti della disco music italiana (come, ad esempio, i fratelli Nicolosi dei “Novecento”), Alba non riesce ad imporsi come cantante e ben presto decide di abbandonare la scena musicale.

Continua con successo come valletta e conduttrice televisiva: Alba, in quel periodo, appare infatti in programmi molto seguiti come “Ok il prezzo è giusto“, condotto su Mediaset da Gigi Sabani, e “W le donne”, storico show con Amanda Lear.


Nel 1985 sostituisce Fiorella Pierobon per pochi mesi come annunciatrice di Canale 5. 

Ma la grande popolarità arriva nel 1990, quando Alba conduce il programma sportivo su Telemontecarlo “Galagoal“. 

L’anno successivo Alba è nuovamente in Rai al timone dello show La piscina, dove ha occasione di mostrare un lato molto sexy di sè con i provocanti balletti che saranno poi ripresi in chiave ironica dall' imitatrice Francesca Reggiani

Nel 1992 viene scelta per presentare il Festival di Sanremo accanto a Pippo Baudo

Nello stesso periodo, continua a recitare in commedie italiane come “Abbronzatissimi” ( 1991) e “Saint Tropez Saint Tropez” ( 1992).

Qualche anno dopo viene scelta per il ruolo della protagonista nel film eroticoIl macellaio” non troppo apprezzato dal pubblico, nè dalla critica.

Ottiene più successo la sua divertente interpretazione nel “cinepanettone” di Neri Parenti “Paparazzi“. 

Nel 1997 riscuote un buon successo di ascolti con la trasmissione “Macao” su Rai 2.

Alla fine degli anni Novanta recita anche in alcune serie Tv come “Tre stelle” trasmessa su Canale 5, e diventa la regina del gossip grazie ai suoi legami sentimentali con Christophe Lambert e Stefano Bonaga e ai suoi numerosi interventi di chirurgia plastica.








Recentemente, Alba ha partecipato a diversi programmi televisivi in qualità di opinionista, ospite e concorrente di reality.




sabato 7 maggio 2016

Lista Globelink delle cose da non fare all'estero

 Una lista divertente, fatta da Globelink, delle 18 cose da non fare assolutamente durante i nostri viaggi all'estero.


1. Cosa non fare mai in Messico. Fare il muso quando non ci si diverte. Sempre sorridere..





2. Cosa non fare mai in Ucraina. In Ucraina e in Russia, presentarsi in una famiglia, o presso  persone o amici con un bel bouquet di fiori freschi non è per niente gradito, anzi! Infatti un mazzo di fiori è assimilato alla fioritura della tomba...

3. Cosa non fare mai in Nuova Zelanda. Suonare il clacson senza ragione. Meglio rallentare.

4. Cosa non fare mai in India. Toccare la compagna o il compagno in pubblico. E non solamente esplicite effusioni ma anche sfiorarsi o tenersi per mano. 

5. Cosa non fare mai in Giappone. Ringraziare con una mancia della gentilezza è estrema scortesia.


6. Cosa non fare mai in Francia. Parlare di soldi, argomento tabù.

7. Cosa non fare mai in Turchia.  Rispondere Ok.Un occhiolino andrà bene..

8. Cosa non fare mai in Irlanda. Imitare il loro accento!

9. Cosa non fare mai in Norvegia. Fare domande sulla religione.

10. Cosa non fare mai nel Regno Unito. Domandare quanto guadagnano, come in Francia.

12. Cosa non fare mai in Kenya. Chiamarli  subito per nome di persona, meglio iniziare con il cognome e poi vedere come va.

13. Cosa non fare mai in Cile. Mangiare in qualunque situazione con le mani. Siete in Cile, usate le posate che diamine !

14. Cosa non fare mai in Singapore.  Mangiare sui mezzi pubblici. Quindi evitate di farlo e aspettate il più democratico ciglio della strada.

15. Cosa non fare mai in USA. Non lasciare la mancia ai camerieri statunitensi. O lasciarne poca. Molto offensivo. Meglio controllare, Stato per Stato, quanto vi converrebbe lasciare...

16. Cosa non fare mai in Italia. (Consiglio ai turisti) Ordinare un cappuccino in un ristorante. E, soprattutto dopo i pasti. Il caffè va sicuramente meglio!

17. Cosa non fare mai in Ungheria. Brindare con un cin-cin tra bicchieri.


18. Cosa non fare mai in Cina. Regalare un ombrello o un orologio a un cinese. 


giovedì 5 maggio 2016

Le mysterieux Chateau de la Juive de Besançon


Le château de Clementigney, plus connu sous le nom de château de la Juive est l'une des plus remarquables demeures particulières de Besançon (Bourgogne-Franche-Comté). 
Il est situé sur la commune limitrophe de Chalezeule, sur le bout du mont de Brégille. 

Le bâtiment de base a été construit à une date inconnue, mais les premières traces à son sujet remontent à la fin du XVIIIe siècle, avant que la puissante famille juive Lippman n'en devienne propriétaire. 
Une de leurs descendantes, Léonie Allegri, demande à l'architecte franc-comtois Alphonse Delacroix de la transformer en un véritable château.
Entre 1850 et 1870, il donne naissance au bâtiment tel qu'on le connait aujourd'hui, avec son style gothique et son échauguette caractéristique.

Le dynamisme de la propriétaire donne à la demeure son surnom toujours actuel, le « château de la Juive ». 
Par la suite, l'édifice change de main et devient un hôtel-restaurant réputé pour sa gastronomie de qualité et ses décors remarquables, gagnant une réputation nationale et attirant plusieurs célébrités comme Georges Bidault, Tino Rossi, Marie-José de Belgique ou encore Johnny Hallyday
Des spécialités franc-comtoises typiques y sont servies, comme la saucisse de Morteau ou la truite au vin jaune et morilles. 


L'écrivain Guy des Cars y séjourne à demeure en 1956, pour écrire son roman intitulé Le Château de la Juive, inspiré par ce lieu. 
Louis Néel y apprend son obtention du prix Nobel de physique en octobre 1970.
Cependant, cette vocation se termine au début des années 2000, lorsque le dernier chef cuisinier meurt, le château retrouvant, depuis lors, une fonction purement résidentielle.


Le décor intérieur est dominé par des boiseries néo-gothiques, mais des modifications et ajouts ont été pratiqués durant les années 1950. 
Le mobilier du comte de Turenne, qui avait été éparpillé à la suite d'une vente aux enchères, a complètement disparu, à l'exception d'une pièce : la salle de réception. 

Les fenêtres à vitraux du Second Empire, les murs et plafonds de boiseries comprenant de petits carreaux polychromes de céramique - dont chacun arbore une grappe de raisin noir et deux épis de blés entourés de l'inscription « à la Dame de Clementigney » - témoignent de l'élégance des décors de l'époque. 

Une anecdote rapporte qu'un Américain de passage, séduit par le raffinement de cette pièce, a voulu racheter l'ensemble des éléments transportables, pour deux millions de francs.
Un passage du journal de Bregille, d'avril 1982, décrit précisément le château de la Juive, reprenant le témoignage de la vie quotidienne de Léonie Allegri dans sa demeure. 

Ainsi, on y apprend une multitude de détails, comme l'existence d'un escalier en chêne, le fait que les couloirs aux riches lambris dissimulaient des placards secrets, ou encore la description de sa chambre : elle contenait un lit à baldaquin soutenu par des colonnes torsadées, des murs aux lambris rouges et bleu roi, et un plafond bleu ciel tapissé d'étoiles. 

On apprend aussi qu'était présente une grande cheminée sculptée, recouverte de faïences bleues et blanches, et que les cabinets comportant des vitraux blancs transparents étaient situés dans l'échauguette. 

Quant à la salle de bain, située au troisième étage, il fallait, pour l'utiliser, monter l'eau seau après seau et la chauffer à l'aide d'un chauffe-eau en cuivre, fonctionnant avec un serpentin envoyant le liquide dans une baignoire également en cuivre, ne comportant pas de système d'écoulement. 

Des faïences, reprenant les motifs du mur de la salle de réception, trônaient dans le bâtiment, offertes par un peintre italien. 

Une fois remariée, Léonie Allegri fut confrontée aux infidélités de son époux, le comte de Turenne, dont la rumeur rapporte qu'il facilitait la fuite de ses maîtresses par l'escalier de la tour, alors renommée Felice, ainsi que par des portes secrètes cachées dans les lambris.
Il fit également apposer ses armes sur les grilles du château, et fit sculpter son portrait et celui de Léonie sur la cheminée de la chambre de son épouse. 
Les vignes, encore bien vivaces juste avant la Grande guerre, disparurent avec le décès de leur propriétaire, Léonie, en 1914.




Voici un tres bon resumè fait par une blogueuse "Lili Galipette" du roman de Guy des Cars "Le Chateau de la juive" 
Lors d’un voyage à Tel-Aviv, l’auteur a rencontré l’héroïne du roman. 
Pendant toute une nuit, elle accepte de lui raconter son histoire.

Eva Goldski a été arrachée très tôt à son pays. De camp d’internement en camp de déportation, elle est devenue apatride. Quand elle attire le regard d’Éric de Maubert, comte jurassien et officier français, elle sait qu’elle tient sa chance. 
 Enfin, elle sera riche, elle connaîtra la sécurité et elle pourra se venger d’avoir dû se courber devant plus fort qu’elle.

Hélas, le prince charmant n’est pas si riche qu’il semblait et le château n’est finalement qu’une gentilhommière un peu cossue qui menace ruine. Ne reste du prestige de la Tilleraye qu’un souvenir et des espoirs déçus.  
« Eva, comme tous ceux qui n’ont jamais rien possédé et qui n’ont connu que le dénuement total, avait une soif inextinguible de luxe… Un certain luxe qui ne pouvait se traduire, pour une échappée des camps, que par un confort ultra-moderne et des éclairages tapageurs. Comment, elle qui ne l’avait pas connu, aurait-elle pu goûter la grandeur nostalgique d’un Passé ? » (p. 57)

L’accueil réservé par Adélaïde, la mère d’Éric, est bien loin d’être chaleureux pour cette fille pauvre, sans lignée et juive. 
Or, la jeune épouse est bien décidée à faire valoir ses droits et à s’imposer sur le domaine. « Eva attaquerait de toute sa jeunesse douloureuse, Adélaïde se défendrait de toute son expérience tyrannique. » (p. 51) Séduisante, très intelligente et dotée d’un fort instinct de conservation, Eva sait nouer des relations intéressées et faire rentrer l’argent nécessaire à la rénovation du château et à un train de vie très élevé. Et surtout, Eva se constitue un trésor personnel : elle a trop manqué pour prendre le risque de ne rien avoir. Et tant pis si les paysans parlent dans son dos et si l’aristocratie locale répugne à visiter le château de la Juive : Eva est enfin à l’abri du besoin. Hélas, sa soif de possession la perdra.

Et Éric dans tout ça ? Fou amoureux de sa femme, complètement sous son emprise, il est bien incapable de percer à jour cette femme vénale et manipulatrice. « Pauvre Éric de Maubert qui n’avait jamais très bien compris Adélaïde et qui ne connaîtrait sans doute pas la véritable Eva ! » (p. 172) Mari cocu, mené par le bout du nez, il est le parfait dindon de la farce. Jusqu’à ce qu’une énième manipulation d’Eva échoue.


Ma cos'è la sindrome di WANDERLUST ?



In sociologia Wanderlust significa desiderio di viaggiare, di fare nuove esperienze, di vedere nuovi posti e vivere la libertà e l'emozione di essere stranieri.
Tolkien diceva "Not all those who wander are lost"

(Non tutti quelli che vagano sono persi) e mai frase può essere più adatta.


La Sindrome di Wanderlust è la voglia irrefrenabile di viaggiare generata da una grande curiosità rispetto al mondo che ci circonda.

Ci sono qualità speciali del "vagabondo" o del "sognatore" che hanno un posto speciale nel mondo. 
Sono quelli che scoprono l'unico, il nuovo e quello che alla maggior parte delle persone, passa inosservato.

Sono quelli che viaggiano in tutto il mondo, senza un vero motivo, solo per seguire gli impulsi e per alleviare l'inquietudine . 

Vedono la vita in un altro modo, un modo che migliora le esperienze alla ricerca di una vita "sognata" e giustifica la casualità. 



Sognano di libri che non sono stati scritti, di città ancora da scoprire e incitano l'entourage a cercare, come loro, l'avventura e originalità. 
In un mondo dove è facile stigmatizzare le tendenze delle persone, il "vagabondo" spesso ha una una cattiva reputazione, visto spesso come sfuggente, scostante e irregolare. Invece si tratta solo di sognatori irrequieti, che non saranno soddisfatti se non dopo aver esplorato nuovi territori e conosciuto nuove persone



Dunque  la “Sindrome di Wanderlust” si riconosce molto facilmente, poiché è caratterizzata dalla “necessità”, dal bisogno - da parte della persona - di viaggiare, di esplorare posti nuovi, di fare le valigie e prendere un aereo per andare da qualche parte nel mondo.


Non si tratta di una semplice vacanza estiva, ma di un vero e proprio bisogno di mettersi in viaggio. 
La stessa parola deriva dal tedesco "wander" (desiderio), e "lust", (girovagare).


La “Sindrome di Wanderlust” è  identificabile attraverso alcuni chiari segnali. 
Fra questi, ad esempio, il fatto che, chi è affetto da questa particolare sindrome – che a quanto sembra sarebbe collegata al recettore della dopamina D4 (DRD4 7r), il "gene del viaggio" che si trova in circa il 20% della popolazione mondiale – avrebbe sempre a portata di mano uno zaino o un trolley, pronto per partire per un nuovo viaggio.

Inoltre, i cosiddetti “wanderluster” hanno sempre a portata di mano itinerari, mappe, siti di viaggi e di compagnie aeree e quant’altro, per organizzare per bene i propri viaggi.

Secondo quanto emerso da uno studio condotto dai membri del National Geographic, proprio il DRD4 sarebbe presente nelle persone maggiormente propense a correre dei rischi, quelle che amano provare nuovi cibi, intrecciare nuove relazioni e nuove avventure. 





 

domenica 1 maggio 2016

Favoloso percorso nel Metro' d'Arte di Napoli

La fermata Toledo della metropolitana di Napoli è una delle più profonde della città, costruita a 50 metri sottoterra.

Inaugurata nel 2012, è caratterizzata dalla maestosa. ''Light Panels'', un’opera d’arte del designer Robert Wilson, che illumina i corridoi della stazione con i temi della luce e dell’acqua dando vita ad un incredibile paesaggio acquatico



A Napoli esistono 2 linee omologate di metropolitana 
(la linea 1, detta anche "Metrò dell'Arte" e la  linea 6) che collegano il centro con i quartieri "alti" della città, fino a raggiungere la zona periferica;
- la storica linea 2, omologata come "passante ferroviario" gestito da Trenitalia, che collega la Stazione Centrale con diverse zone della città fino al porto;
- 4 linee di funicolare che collegano la zona collinare con il centro cittadino, fino ad un'ultima riammodernata linea tranviaria, che congiunge il centro con la periferia orientale di Napoli.



Le stazioni dell'arte nascono da un progetto elaborato nel 1995 dal comune di Napoli nell'ambito della costruzione e del potenziamento del proprio sistema di trasporto sotterraneo.

Le stazioni dell'arte sono un complesso artistico-funzionale, composto da fermate della metropolitana di Napoli, in cui è stata prestata particolare attenzione a rendere gli ambienti belli, confortevoli ed efficienti. 


La finalità principale è di combinare la fruizione del trasporto pubblico con l'esposizione degli utenti all'arte contemporanea, allo scopo di favorirne la conoscenza e diffusione. 

La finalità secondaria è di riqualificare vaste aree del tessuto urbano e fungere da elemento motore per la realizzazione di nuove costruzioni che assumano il ruolo di luoghi focali della città di Napoli.


Le stazioni, distribuite lungo la linea 1 e 6 della rete, accolgono circa duecento opere d'arte realizzate da più di novanta autori di fama internazionale e da alcuni giovani architetti locali, elemento, questo, distintivo dell'intervento urbanistico-funzionale che ha avuto la diretta conseguenza di combinare nelle stazioni differenti stili artistici. 


Tale complesso urbanistico, tuttora in fase di espansione attraverso la costruzione di nuove stazioni, ha ricevuto numerosi riconoscimenti a livello internazionale. In particolare, il 30 novembre 2012, la stazione Toledo è stata premiata come la più impressionante d'Europa dal quotidiano The Daily Telegraph, mentre quella di Materdei è risultata al 13º posto. 
Il 4 febbraio 2014 la CNN ha eletto la stazione Toledo come la più bella d'Europa.


Inoltre la stazione Toledo della metropolitana di Napoli ha vinto il premio "International Tunnelling Association : Oscar delle opere in sotterraneo" (assegnato ad Hagerbach, vicino Zurigo), battendo due stazioni delle metropolitane di Sydney e Gerusalemme nella categoria "Uso innovativo degli spazi".
La stazione è stata realizzata su progetto dell'architetto catalano Oscar Tusquets Blanca


Inaugurata tre anni fa, è considerata una delle più belle al mondo per i giochi di luce creati dall'architetto spagnolo e per le opere che la caratterizzano come uno dei gioielli del "Metrò dell'arte" che ha ispirato la costruzione delle stazioni della rete metropolitana napoletana fin dalla sua apertura. 

All'interno della stazione, che attira l'attenzione di centinaia di turisti ogni giorno che si soffermano a fotografarla, ci sono diverse opere di grande impatto tra cui due grandi mosaici dell'artista inglese William Kentridge e realizzati dal mosaicista Costantino Aureliano Buccolieri
I motivi del riconoscimento, ritirato dall'Assessore ai Lavori Pubblici e Mobilità Mario Calabrese, sono da riassumersi nella utilizzazione di tecnologie innovative nelle fasi di scavo e perforazioni in particolari situazioni idrogeologiche (presenza di acqua di falda, profondità elevata del tracciato,) attraverso il congelamento dei terreni con azoto liquido e successive pratiche di perforazione con Know how all'uopo progettato. 


Anche alla luce dell'ulteriore successo conseguito dalla sua metropolitana la città di Napoli è candidata ad ospitare per l'anno 2019 il congresso annuale mondiale della ITA (International Tunnelling Association): la scelta della città ospite sarà formalizzato a San Francisco nell'aprile del 2016: Napoli è in concorrenza con Londra e Istanbul.